Belle di notte

Da bambina casa mia, una delle tante, si trovava in una viuzza del centro.
Era una viuzza fatta di ciottoloni consumati e lisci, con ciuffi d'erba che spuntavano impavidi e incuranti dello scalpiccio dei nostri piedini che rincorrevano un pallone o qualunque altra cosa rapisse la nostra attenzione labile e vivace.
E c'erano le belle di notte.
Io non capivo il mistero che si celava dietro a queste piante che mai prima di quell'epoca avevo visto. Sbucavano dal cemento e lí rimanevano, crescendo verdi e forti e poi, all'improvviso spuntavano tutti questi fiori a trombetta che si aprivano solo di notte.
Ad ogni portone c'erano enormi cespugli di belle di notte.
Quelle viuzze di ciottoli, con i portoni sgangherati e la gente che si parlava da finestra a finestra, e quasi non si vedeva il cielo per quanto erano strette, con i fili a carrucola per stendere i panni che gracchiavano come cigni morenti ogni volta che qualcuno li usava.
In qualche modo c'era della poesia inespressa in tutto questo. C'era l'innocenza, la mia, la curiosità e la fiducia nel futuro, nonostante lo squallore e la povertà in cui si viveva.
E poi stasera.
In preda a una frenesia smaniosa e arrabbiata sono uscita sola, a macinare passi pensando incessantemente, isolata dal mondo grazie a un lettore mp3.
E non so come ero lí, ed era tutto uguale a mille anni fa. Gli stessi portoni sgangherati ancora più sgangherati, gli stessi fili a carrucola per i panni ma silenziosi e vuoti, le stesse belle di notte prepotentemente fiorite.
Ed ero lí. Grande, senza aver concluso nulla di quello che avrei voluto, con una vita vissuta a metà, cassetti pieni di sogni archiviati, senza un senso di appartenenza, senza una radice, senza nulla.
Ho sentito i miei passi di bambina correre verso il niente, e ho visto le belle di notte sfiorire, lentamente.

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